giovedì, Marzo 28, 2024

9 maggio 1978: una data, due storie

“9 maggio 1978: niente fu più come prima”. Ci sono date che segnano la storia. Giorni che cambiano il volto di un Paese, ne feriscono le speranze e ne mortificano i sogni.

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Quella mattina di quarantuno anni fa un’Italia impotente vide morire due dei suoi migliori figli: Aldo Moro e Peppino Impastato. Due uomini diversi dagli altri, ma diversi anche tra loro. Un democristiano e un rivoluzionario che la morte ha reso “fratelli nelle opposte fazioni”. Due martiri del ‘900 italiano, accomunati dalla stessa fine, nel medesimo giorno.
A raccontare bene, ma separatamente, le due storie era stato il cinema con i “Cento passi” di Marco Tullio Giordana e, tra gli altri, con “Buongiorno notte” di Marco Bellocchio. Perché ci sono volte in cui il cinema, elaborando il lutto, sa consegnare alle masse la storia, fissandola per sempre nella bellezza dell’arte.

Due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato. Due film. Due vite per molti aspetti distanti, ma unite da un tragico epilogo.
Sono passati quarantuno anni dal giorno in cui, in via Caetani a Roma, venne fatto ritrovare il corpo crivellato dell’onorevole Aldo Moro. Dopo 55 giorni di prigionia, le Brigate rosse avevano, infatti, eseguito un’assurda sentenza di morte contro il sessantaduenne presidente della Democrazia cristiana. Moro era stato l’uomo che aveva trasferito la Dc dal centrismo all’alleanza coi socialisti prima, e alla maggioranza parlamentare col Pci subito dopo. Era considerato un “mediatore”.

Lo stesso giorno in cui le Brigate rosse uccisero lo statista, all’alba sui binari della stazione di Cinisi, in provincia di Palermo, veniva ritrovato il corpo dilaniato di Peppino Impastato: un trentenne militante di Democrazia proletaria che dalle frequenze di Radio Aut, con graffiante ironia e irriverente coraggio, denunciava i traffici di Cosa nostra e del boss Tano Badalamenti.
In quei giorni Impastato aveva deciso di candidarsi alla elezioni amministrative di Cinisi. La sua eventuale presenza in consiglio comunale avrebbe certamente avuto un effetto destabilizzante per gli affari mafiosi. Così i manovali di una mafia resa ridicola, la sera prima di un comizio, lo avevano preso, picchiato e infine imbottito di tritolo. L’obiettivo era mettere a tacere quella voce libera simulando un suicidio misto ad un’azione terroristica. E un clima da “caccia alla streghe”, dettato in quei mesi dalle azioni militari dei brigatisti, facilitò la messinscena. I depistaggi di chi avrebbe dovuto indagare fecero il resto.

Oscurata dalla tragedia nazionale del delitto Moro, la storia di Impastato venne così relegata all’interno dei quotidiani. E per molto tempo dimenticata. Per la maggior parte dei media si trattò del “suicidio di un terrorista fallito”. Perché la storia di questo Paese, talvolta, è stata raccontata anche da pessime pagine di un giornalismo pigro e appiattito. A condurre un’inchiesta parallela furono invece i compagni e i familiari di Peppino. Così nel 1984 arrivò la prima sentenza, ad opera di Antonino Caponnetto, che sulla base delle indicazioni di Rocco Chinnici riconobbe la matrice mafiosa del delitto Impastato. In seguito, nel 2001 e nel 2002, arriveranno le condanne per Vito Palazzolo (a 30 anni) e Tano Badalamenti (ergastolo). Ma è sicuramente merito di un film come i Cento passi se la meravigliosa ed insieme tragica storia di Impastato, nel 2000, ha raggiunto il grande pubblico che ha conosciuto finalmente la vera anima di Peppino.


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