martedì, Aprile 23, 2024

Altofonte e San Giuseppe Jato ricordano Giuseppe Di Matteo

“Perdere un fratello è un dolore che non si può descrivere. In questi 25 anni non ero mai riuscito ad andare sul luogo del suo martirio. Ci sono stato qualche giorno prima di Natale e vedere il casolare di Giambascio è stato come tornare indietro al dolore di quei giorni”. A parlare è Nicola, il fratello di Giuseppe Di Matteo, il quindicenne strangolato e sciolto nell’acido l’11 gennaio del 1996. Due anni prima era stato rapito e tenuto prigioniero per 779 giorni. L’obiettivo del clan guidato da Giovanni Brusca era spingere il padre Santino, un mafioso divenuto collaboratore di giustizia, a ritrattare le dichiarazioni sulle stragi di mafia.

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“Da quel giorno Nicola è un’altra vittima – spiega il sindaco di Altofonte, Angelina De Luca-. Alcuni giorni fa mi ha confidato che avrebbe voluto esserci lui al posto del fratello”.
Quest’anno, per la prima volta, la cerimonia commemorativa si è tenuta ad Altofonte, su espressa volontà di Nicola. Che nel suo paese non aveva mai parlato in pubblico della tragedia che ha segnato la sua vita. “In paese – racconta il sindaco – è stato sempre guardato come il figlio di un assassino e non come il fratello di una vittima”. A coordinare l’incontro, tenutosi nel salone parrocchiale, è stato il giornalista Pino Nazio: “Giuseppe ha sconfitto la cultura della mafia interrompendo, con la sua morte, quella catena che legava la sua famiglia a certi ambienti”.

Morra: “Ipotesi pezzi dello Stato nel rapimento di Giuseppe”

Oggi ad Altofonte, per ricordare il piccolo Di Matteo, oltre ai sindaci del comprensorio, c’erano l’assessore regionale Roberto Lagalla, Nicola Mannino del Parlamento delle Legalità, Caterina Pellingra di Libera e il presidente della Commissione regionale antimafia Claudio Fava: “L’uccisione di Giuseppe è un delitto contro l’umanità e ricorda ciò che avvenne nei campi di sterminio”, ha detto Fava. Secondo cui “la mafia anche oggi, se ne avesse la necessità, sarebbe capace di uccidere un quindicenne”.
In collegamento telefonico da Roma sono intervenuti anche la senatrice Cinzia Leone ed il presidente della Commissionale nazionale antimafia Nicola Morra, che solleva un dubbio: “Per quale motivo i carcerieri del piccolo Di Matteo erano incappucciati? I mafiosi tra di loro si conoscono. Si può ipotizzare – ha detto – una compartecipazione di pezzi dello Stato che forse volevano impedire l’insorgenza di una coscienza civile?”.

Una prigionia durata oltre due anni grazie a tante complicità

Giuseppe Di Matteo, rapito il 23 novembre del ’93, venne spostato in diversi nascondigli del Palermitano, del Trapanese e dell’Agrigentino. Una prigionia che si avvalse di tante complicità. “Dov’erano le madri, le mogli e i figli di chi prese parte al sequestro?”, si chiede l’avvocato Monica Genovese, che da anni assiste la famiglia Di Matteo. A strangolare Giuseppe, su ordine di Giovanni Brusca, fu Vincenzo Chiodo, insieme ad Enzo Brusca e Giuseppe Monticciolo. Il corpo venne sciolto dentro un fusto di acido nitrico ed i resti furono sparsi nel terreno che circondava il covo dei mafiosi.

Ed è lì che adesso sorge il “Giardino della memoria”. L’opera, realizzata nel 2008 con i fondi del Ministero dell’Interno, di recente è stata oggetto di interventi di manutenzione grazie ai 150 mila euro donati da Nicola Di Matteo e dalla madre Franca Castellese. Che hanno ottenuto dal Tribunale civile di Palermo il riconoscimento di un risarcimento pari a 2,2 milioni di euro. In tarda mattinata la cerimonia si è spostata al Giardino di contrada Giambascio, dove Salvatore Graziano, commissario straordinario di San Giuseppe Jato, ha deposto una corona di fiori. Di lì a piazza Falcone e Borsellino, dove il presidio di Libera ha scoperto una mattonella commemorativa. L’Associazione “Rinasce S.G. Jato” ha partecipato alle iniziative.

(LEAS)


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