martedì, Aprile 16, 2024

San Giuseppe Jato: il nome di Mineo tra le vittime innocenti di mafia

SAN GIUSEPPE JATO. Era la sera del 29 maggio 1920 quando, nel corso principale del paese, tre sicari uccisero Salvatore Mineo: oppositore di un sistema che vedeva la politica collusa con la criminalità.

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Cento anni dopo il suo nome figura tra le vittime innocenti di mafia. L’occasione è stata oggi la “Giornata della memoria e dell’impegno” promossa da Libera e da Avviso Pubblico. A presentare l’istanza di inserimento è stata l’associazione “LiberEssenze” di San Giuseppe Jato. Pierluigi Basile, docente di storia, ha curato la ricostruzione documentale dell’uccisione del cinquantunenne leader dell’opposizione politica. L’autore della ricerca storica sta anche scrivendo un volume dedicato al concittadino ucciso dalla mafia e a lungo dimenticato.

In precedenza a parlare di Mineo erano stati altri due studiosi locali: Francesco Belli, in un volume di ricordi storici e statistici pubblicato nel 1934; e Gioacchino Nania che nel 2000 gli dedicò il libro “San Giuseppe Jato e la mafia”. Ma in pochi conoscono la vicenda dell’uomo politico che, dopo la Prima Guerra Mondiale, si oppose agli interessi mafiosi. “Mineo – ricorda Basile – era uno degli animatori della Camera del Lavoro. Politicamente vicino alle posizioni democratico-riformiste di Francesco Saverio Nitti. Nel centro jatino si batté con forza contro l’amministrazione locale in mano al gotha mafioso, con a capo il sindaco Antonino Puleio, affiancato da Vincenzo Troia e Santino Termini”.

I documenti raccontano anni di violenze e ruberie. La mafia controllava il sistema economico del tempo, prevalentemente agro-pastorale: dal traffico degli animali rubati, agli esoneri militari, fino allo sfruttamento della risorse agricole. I feudi venivano affittati dai baroni ai “gabelloti”, che subaffittavano i terreni agli agricoltori più poveri.

Un sistema parassitario basato su soprusi e angherie, affidate ai “campieri”, sentinelle mafiose che avevano il compito di assicurare l’ordine nei campi. “Per rompere questo sistema basato sul ruolo di intermediazione dei mafiosi – ricorda lo storico – era cresciuto in Sicilia il fenomeno delle “affittanze collettive”: un sistema che invece si fondava sulla concessione delle terre a contadini riuniti in cooperative”.

Tra queste figurava a San Giuseppe Jato la “Cooperativa Agricola”, guidata da Salvatore Mineo. “Il potere della mafia rischiava di franare sul fronte economico-sociale ma anche su quello politico – sottolinea Basile-. Specie dopo che Mineo era riuscito ad ottenere l’invio di un commissario prefettizio per indagare sulle malefatte commesse dall’allora sindaco Puleio e dai suoi alleati. Che riuscirono però a bloccare l’inchiesta con l’intervento dei loro “protettori” da Palermo e da Roma”. Ma non fu l’unica reazione: Mineo venne ucciso. “Fu un atto di “pedagogia della violenza” – conclude lo storico -, destinato a far tacere tutte le voci contrarie”. (LEAS)

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